LZ001 – Macchina per sviluppare circuiti stampati

Questa volta non propongo nessun circuito, ma qualcosa di ugualmente interessante, una macchina per sciogliere i circuiti stampati.

 

Tutti sappiamo che il classico sistema del percloruro ferrico è il preferito da hobbisti e spesso anche da artigiani per piccole quantità, un sistema vecchio come il mondo usato ancora ai tempi delle valvole (in quell’ epoca le piastre erano di maleodorante bakelite), poi arrivarono le piastre in vetronite che rispetto a quelle di bakelite sono molto più robuste, flessibili, non rilasciano cattivi odori, resistono meglio al calore e hanno meno perdite sia operando con tensioni molto alte (come alimentatori switching e gruppi inverter AT) e frequenze elevate (ricevitori, trasmettitori, lineari e preamplificatori HF, VHF e UHF), unico problema la durezza che consuma molto le punte dei trapani e le frese usate per la loro lavorazione.

In più la vetronite rilascia polveri fini simili a borotalco ma altamente irritanti per la pelle e le vie respiratorie, facilmente eliminabili tenendo inumidito il punto di lavoro (l’ acqua trattiene la maggior parte delle polveri evitando che si spargano nell’ aria) e tenendo un aspiratore nelle immediate vicinanze del trapano.

 

Vediamo come avviene la creazione di un nuovo PCB.

 

1° metodo: inchiostro e trasferibili

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Dopo aver disegnato la parte delle piste, piazzole e diffusioni di masse con trasferibili, nastrini adesivi o inchiostro waterproof o a alcool, si lascia asciugare il tutto e una volta secco l’ inchiostro, la basetta prototipo è pronta per lo scioglimento nell’ acido.

2° metodo: fotoincisione

Questo processo è più lungo rispetto al precedente, ma permette comunque di ottenere un risultato migliore, in più è ripetibile più volte usando la stessa maschera, senza disegnare un nuovo stampato sul lato rame.
Per fare questo bisogna premunirsi di: Soluzione sviluppante di soda caustica, bottiglia di polietilene (o vetro) con tappo, pentolino con acqua calda (o calorifero da vicino), cotone idrofilo, guanti in lattice, lampada a luce calda, bromografo (*), piastre ramate pre sensibilizzate, mascherina in poliacetato con disegno PCB.

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La prima cosa da fare è rendere ottimale l’ illuminazione dell’ ambiente dove si va a fare la fotoincisione, infatti non deve essere illuminato direttamente dal sole o da lampade fluorescenti, come prima cosa bisogna oscurare l’ ambiente e illuminarlo solo con lampada a luce calda riflessa (che sia una vecchia lampada a incandescenza, warm led o alogena con variatore) quanto basta per poter svolgere l’ operazione, togliere quindi la pellicola protettiva dal lato rame presensibilizzato della piastra, appoggiare la mascherina in poliacetato, che sia disegnata a mano, trasferibili o stampata a getto di inchiostro o laser va bene (se stampata a laser o fotocopiatrice, conviene metterne due una sopra l’ altra perché spesso il nero non è abbastanza opaco per i raggi UVA), magari bloccandolo con della carta nastro.

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Inserire il tutto nel bromografo, facendo molta attenzione che la mascherina aderisca perfettamente alla piastra, se ci fossero bolle o minimi spazio, questo comprometterebbe il tutto.
Una volta terminata l’ esposizione, togliere il tutto e immergere la piastra fotosensibilizzata nel liquido di sviluppo formato da acqua demineralizzata e soluzione sodica (solitamente si tratta di NaOH, fare solo attenzione che non ci siano granelli di calce all’ interno) e aiutandosi col cotone imbevuto di soluzione, fare si che la reazione abbia inizio.

Da questo istante si può usare tranquillamente qualsiasi sorgente luminosa, sole o luci al neon senza problemi.
Sciogliendo la protezione fotosensibile che è stata esposta alla luce UVA), questa operazione varia dalle dimensioni della superficie da svliluppare e dalla temperatura della soluzione sodica, io consiglio di tenere un valore tra i 35°C e i 40°C, mai usare la soluzione sviluppante a temperatura ambiente (specialmente in inverno).

Per ottenere tali valori consiglio di tenere il pentolino con acqua molto calda e immergere la bottiglia in polietilene contenente la soluzione sodica a “bagno Maria”.
Naturalmente essendo una sostanza basica molto forte, è meglio indossare i guanti in lattice o vinile per evitare poi irritazioni cutanee o ustioni dovute al pH del liquido utilizzato.

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A sviluppo completato (lo si vede quando sul rame resterà solo l’ inchiostro relativo alle piste e piazzole) bisogna estrarre la basetta dalla vaschetta con liquido sviluppante e immergerla in acqua fredda, sciacquare bene e asciugare delicatamente, ora la basetta è pronta per la fase di scioglimento.

Per sciogliere il rame scoperto su una basetta, si usa una soluzione salina di percloruro ferrico (FeCL3, solitamente chiamato acido anche se non lo è) diluita in acqua demineralizzata, di solito lo si trova già diluito in acqua presso fiere o negozi di elettronica, ma spesso lo vendono in forma solida simile a sassi rugginosi e umidi da sciogliere in acqua calda.

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Fare molta attenzione a non fare entrare in contatto il percloruro ferrico con altri metalli, in quanto altamente reattivo (in particolare con l’ alluminio) e conservarlo sempre ben chiuso in contenitori di vetro o polietilene.
Fin dai tempi antichi è solito immergere la basetta in acido e aspettare che la reazione si completi, di tanto in tanto agitare per facilitare che non si formino bolle, questo però oltre a allungare i tempi, da una buona resa solo con acido nuovo e pulito, per ridurre i tempi e avere una resa ottimale bisogna invece fare si che l’ acido si muova in continuazione e sia esso stesso a aggredire il rame e portarne via i residui.
Dal momento che la densità è molto alta (circa 1,4 volte l’ acqua) basta un piccolo compressore (quelli degli acquari vanno benissimo) per generare delle bolle che salgono verso la superficie, si rompono e ridiscendono.
Usando un’ apposita vaschetta, è possibile fare si che le bolle salgano dal punto più basso, raggiungono la basetta appositamente introdotta su un piano inclinato, la lambiscono e ridiscendono dall’ altra parte portandosi dietro piccole quantità di rame disciolto che in seguito si appoggerà sul fondo creando i fanghi residui.
Con questo sistema i tempi si riducono anche di 6 volte, in più essendo interessata prevalentemente la superficie del liquido, fa si che anche un acido vecchio quasi esausto riesca a sciogliere del rame quando col sistema classico a immersione non era più possibile.

Ecco il modello proposto in poliver da 2mm:

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Con relativo disegno esploso con tanto di dimensioni.

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pezzi che una volta tagliati sono così:

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Il tutto viene poi incollato con colla per modellismo

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fino a ottenere la struttura desiderata

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infine sigillato con silicone e montato il piano mobile:

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Per creare la schiuma, servono 4 cannucce per bibite, opportunamente tagliate e inserite l’ una dentro l’ altra, naturalmente nella parte bassa si praticano 15 fori del diametro di circa 0,4 o 0,5mm con un ago da sartoria

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La pompetta usata per fare schiuma è del tipo per acquari dalla portata di 4 litri al minuto, facilmente reperibile presso tutti i negozi per animali.

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il tutto va messo così

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Non resta altro da fare che riempire con acido fino a lambire il piano inclinato inferiore (circa mezzo centimetro dal piano mobile) seguendo il livello a occhio attraverso i lati e accendere la polpetta.
Se per caso la schiuma generata dovesse fuoriuscire, basta solo praticare altri forellini ai tubi plastici esterni per far defluire parte dell’ aria, anche perché non tutte le polpette hanno la stessa portata e la stessa pressione.

Mettere lo stampato da sciogliere lato rame verso l’ alto e lasciar agire alla schiuma fino allo scioglimento del rame residuo.

 

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